Sole, Luna e Medea: la donna cannibale nelle fiabe
In questa Luna esploriamo il tema del cannibalismo, ricorrente nelle fiabe, concentrandoci in particolare su Hansel e Gretel, Il Ginepro e Sole, Luna e Talia
Ciao!
Questa è Luna Storta, la newsletter di pan di zenzero. In questa epistola, esploriamo un motivo estremamente comune nelle fiabe: il cannibalismo. Solitamente, quando scelgo un argomento per una Luna Storta, la fase che mi richiede più tempo è quella della ricerca delle fiabe (o in generale delle opere) pertinenti. In questo caso, invece, ho avuto il problema opposto. È quasi una rarità imbattersi in una fiaba che non contenga almeno un cenno al cannibalismo. Come l’incesto, il cannibalismo sembra pervadere il mondo delle fiabe e la cosa non ci dovrebbe stupire: si tratta, in fondo, dei due atti considerati più abietti, quei taboo da cui dipende la sopravvivenza stessa della specie. È naturale quindi che le fiabe, tanto nella loro veste di intrattenimento per adulti quanto in quella pedagogica di “civilizzazione” dei bambini, ne siano affascinate.
Proprio come l’incesto, il cannibalismo rappresenta un appetito perverso e, proprio come l’incesto, è un atto che spesso viene compiuto da un genitore nei confronti del figlio, a sottolinearne ulteriormente la perversione. Pensiamo ad esempio a Biancaneve e alla madre, divenuta nel tempo matrigna, che ne vuole consumare il cuore. Sebbene l’atto non sia mai compiuto, l’ombra del cannibalismo aleggia sulla vicenda, come abbiamo già avuto modo di analizzare nella Luna Storta sugli specchi magici. Se c’è una cosa che le fiabe ci insegnano è che la famiglia spesso è il luogo dove si annidano i mostri.
Cappuccetto Rosso, nella versione a noi più nota di Perrault, è una delle poche fiabe a non contenere atti di cannibalismo. Ne esiste però una versione antecedente a Perrault in cui la bambina viene ingannata dal lupo e spinta a mangiare e bere la carne e il sangue della nonna. Come abbiamo già visto nella Luna Storta dedicata alle mantelle rosse, questa macabra eucarestia ci suggerisce un passaggio dall’infanzia all’età adulta, che avviene letteralmente attraverso la consumazione della matriarca. O, più semplicemente, ci invita a ricordare: mangia, per non essere mangiata.
Non è un caso che entrambe queste figure di cannibali siano femminili: la cannibale, che spesso è identificata come una strega o un’orchessa, è un personaggio piuttosto comune nelle fiabe, come vedremo.
Nella sua penultima Reith Lecture del 1994, intitolata “Cannibal Tales: The Hunger for Conquest” (Storie Cannibali: la fame per la conquista), Marina Warner esamina il cannibalismo come metafora del potere, soffermandosi in particolare sulle sue implicazioni colonialiste e razziste. Warner afferma, inoltre, che il cannibalismo non è necessariamente trattato come un atto mostruoso nelle nostre storie, quando controllato dall’autorità.
“Stories of cannibalism, like rape, weren't always connected to myths about barbarians, or even about monstrousness. Control of the processes of consumption confers great power, as we know from the priests officiating at the Christian Mass. The faithful eat the body and drink the blood of Christ in the sacrament of the Eucharist, and this repeated miracle of transubstantiation possibly meets a fundamental human desire to incorporate the object of passion, of wonder, worship, dread, of love, too. Every time a mother squeezes her child and murmurs, 'Mmm, you're so good I'm going to eat you,' she is using the same imagery of union, of total commingling intimacy; every time lovers pretend to gnaw and bite each other, they are tapping the same metaphor.”
In fondo, consumare il corpo dell’altro è quanto di più intimo si possa fare, un atto di profonda unione, non a caso spesso ricorrente nell’immaginario religioso: si dice che Caterina da Siena arrivò a consumare il pus e il sangue di una sua consorella afflitta da una piaga purulenta, per punirsi del disgusto che aveva provato nei suoi confronti. Il consumo dei fluido corporei diventa un atto di comunione e un simbolo di abnegazione della santa in questo contesto.
Talvolta il cannibalismo ha persino un effetto calmante, basti pensare a tutti i piccoli atti di auto cannibalismo (mangiarsi le unghie o le pellicine, mordicchiarsi l’interno della guancia, succhiare il sangue da un taglietto) che pratichiamo quotidianamente e che ci recano conforto.
C’è un'ultima, più triste, ragione per la presenza massiccia del cannibalismo nelle fiabe europee: durante i periodi di carestia, come ad esempio la Grande Carestia che nel 1315-1317 ha colpito il centro Europa, non era raro che i genitori fossero costretti ad abbandonare i figli o a ricorrere all’infanticidio e al cannibalismo per sopravvivere e il segno di questi periodi dolori è rimasto impresso nelle storie popolari.
Hansel e Gretel
Hansel e Gretel è una delle fiabe narrate ai fratelli Grimm da Dortchen Wild attorno al 1809 e appare nel manoscritto del 1810 con il titolo de “Il fratellino e la sorellina”. A questa prima versione apportarono numerose modifiche fino al 1850. Innanzitutto, come si evince dal titolo originale, i due protagonisti non avevano nome fino alla prima edizione del 1812. Inoltre, come avvenuto anche in Biancaneve, la matrigna che li abbandona nel bosco è inizialmente la madre biologica. La figura della matrigna in questa storia è particolarmente ambigua. Il folclorista Jack Zipes in Why Fairytales Stick nota come la matrigna e la strega siano due figure quasi sovrapponibili, somiglianti persino nelle illustrazioni della fiaba, ed entrambe vengono punite alla fine, quasi fossero due facce dello stesso personaggio. Al contrario, continua Zipes, il padre, pur essendo anch’egli responsabile dell’abbandono dei figli, viene sollevato da ogni responsabilità e reso partecipe del lieto fine. Come viene notato in questo articolo , nel Medioevo, sebbene l’infanticidio fosse considerato il crimine peggiore in assoluto, solo le donne potevano essere perseguite. La fiaba segue una morale analoga, in cui solo le donne sono considerate responsabili delle loro azioni.
La figure della strega è legata nel folclore tedesco al cannibalismo, in particolare all’atto di nutrirsi di bambini, una sorta di versione femminile dell’orco (spesso le streghe sono definite orchesse o mogli di orchi). L’infanticidio e il cannibalismo rappresentano entrambi un rovesciamento dell'ordine naturale, un rifiuto di quell' istinto materno comunemente attribuito a qualsiasi donna.
Questo ribaltamento potrebbe essere ulteriormente sottolineato dalla scelta della strega di consumare solo Hansel, il maschio, e di utilizzare Gretel come serva. Ed è proprio Gretel, con l’astuzia, a salvare sé stessa e il fratello, incarnando una femminilità “buona” in contrapposizione a quella della strega e della madre/matrigna. Ai tre personaggi femminili si uniscono il padre e Hansel, due personaggi maschili passivi e completamente deresponsabilizzati dalla narrativa.
Nelle prossime fiabe vedremo invece il caso in cui il pasto cannibale è consumato da un uomo, ingannato da una matrigna. Queste fiabe appartengono al tipo ATU 720 talvolta detto “My Mother Slew Me; My Father Ate Me” (mia madre mi ha ucciso, mio padre mi ha mangiato).
Il Ginepro
Il Ginepro è una fiaba pubblicata dal fratelli Grimm nel 1812. In questo racconto una matrigna decapita il figlio della prima moglie di suo marito, per poi fare credere a sua figlia di essere responsabile dell’omicidio. Non contenta, per sbarazzarsi del cadavere decide di cucinarne le carni e servirle al marito, che, ignaro, mangia con gusto il corpo di suo figlio. La sorella, devastata, decide di seppellire le ossa ai piedi di un ginepro. Proprio dai rami del ginepro uscirà un uccellino, cantando:
«Mia madre mi ammazzò,
mio padre mi mangiò,
mia sorella Marilena
l'ossa mie tutte raduna;
nella seta le ha legate,
sotto il ginepro celate.
Ciuì, ciuì, che bell'uccello è qui!»
Con l’aiuto di alcuni oggetti magici, alla fine l’uccellino avrà la sua vendetta sulla perfida matrigna e riacquisterà le sue sembianze umane.
In questo caso è il padre a divorare il figlio, ma ignorando la natura dell’atto sotto l'inganno della matrigna. Una vicenda simile avviene anche in Sole, Luna e Talia, una fiaba del 1636 contenuta nel Pentamerone di Gianbattista Basile. Questa fiaba è probabilmente l’ispirazione per la ben più nota La Bella Addormentata.
La principessa Talia è maledetta e condannata a morire per colpa di una lisca di lino. Nonostante i tentativi del re di proteggerla, un giorno Talia incontra una vecchia con un fuso, si punge e muore (ne abbiamo già parlato nella Luna Storta sulle filatrici). Giace per anni nel castello, finché non viene trovata da un re, che la violenta. Nove mesi dopo Talia dà alla luce due gemelli che, cercando il seno ma non trovandolo, succhiano il suo dito, rimuovendo la lisca. Così Talia si sveglia e vive nel castello con i suoi bambini, chiamati Sole e Luna. Il re torna al castello e si affeziona a Talia e ai bambini, scatenando le ire della regina sua moglie, che decide di far uccidere i bambini e servirli in pasto al marito per punirlo del tradimento. Ma il cuoco si impietosisce e sostituisce i bambini con carne di animale. Come avviene in Biancaneve, quindi, il pasto cannibale non è mai davvero consumato.
Sia la matrigna de Il Ginepro, sia la regina di Sole Luna e Talia agiscono per gelosia, volendosi liberare della progenie che i rispettivi mariti hanno avuto con altre donne, e allo stesso tempo spingendoli a commettere un atto mostruoso. Come le donne cannibali, anche queste “medee” violano le leggi della natura, assicurandosi che i mariti non abbiano mai una discendenza. Non è un caso che ne Il Ginepro venga ucciso il primogenito maschio, mentre in Sole Luna e Talia la regina non abbia figli suoi: lungi dall’essere atti di pura invidia, le azioni di queste donne mostrano un calcolo politico.
La gelosia e l’invidia attribuite a queste figure per farle apparire meschine, nascondono motivazioni più profonde: sono donne ciniche e calcolatrici, che tentano di sovvertire l’ordine delle cose per acquisire potere, dunque pericolose. Sono donne che rifiutano il ruolo attribuito loro, quello di martiri per i figli e per il marito, e sono disposte a compiere gli atti più scellerati per assicurare la loro posizione e sopravvivenza.
Il cannibalismo nelle fiabe, ovviamente, non è unico appannaggio femminile, anzi. Per esempio, le fiabe del tipo ATU 955 “Il fidanzato brigante” trattano di fidanzati che si rivelano malvagi cannibali dopo le nozze, senza contare i numerosi orchi e giganti pronti a papparsi “i cristianucci”. Guardando ai miti greci, invece, c’è Licaone, il mitico re di Arcadia, trasformato in lupo da Zeus come punizione per aver consumato carne umana, rendendolo uno dei primi lupi mannari del folclore.
Per questa Luna Storta è tutto, spero ti sia piaciuta. A seguire puoi trovare fonti e approfondimenti, in particolare ti consiglio questo articolo di Diana Colombre su Spore Rivista. Il 21 giugno scorso questa newsletter ha compiuto due anni, un sentito grazie per aver letto e seguito questo piccolo progetto fin qui! Come sempre, puoi seguirmi su Instagram, Twitter e Tumblr (sono heyclodia ovunque), dove posto i miei fumettini e le mie illustrazioni.
Alla prossima Luna,
Ciao!
Fonti e letturine:
FEMALE CANNIBALISM IN FOLK & FAIRY TALES
Dark Lessons: Cannibalism in Classic Fairy Tales
The Reith Lectures 1994: Cannibal Tales-The Hunger for Conquest
The Story Behind the Grimm Brothers’ Fairy Tales
HANSEL AND GRETEL: WHAT’S UP WITH CANNIBAL WITCHES?
Cannibalism and Other Nightmarish Things: Sleeping Beauty
Mythical Man-eaters from European Fairy Tales
E se avessero cercato di mangiare quei bimby semplicemente perché la loro carne era buona?