Luna storta: Spinning tales
Ciao, questa è Luna Storta, la newsletter preferita da Tremotino. Come stai? Io questo mese ho avuto il covid, ma fortunatamente ora tutto bene. In questa luna fondiamo due dei miei maggiori interessi: le arti tessili e le fiabe.
Quando eravamo piccole, il film Disney preferito di mia sorella era La Bella Addormentata nel Bosco. Mia madre è addirittura arrivata pericolosamente vicina a chiamarmi Aurora, per fare felice la primogenita. A me il film e la fiaba in sé non hanno mai interessato granché, a parte la presenza di un oggetto arcano: il filatoio. Quando ero piccola non mi era affatto chiaro che diamine fosse e a cosa servisse. La presenza dell’ago mi faceva pensare a qualcosa per cucire, invece che per filare. Eppure questo strumento, che alla mia sensibilità moderna era totalmente estraneo, così come il suo antenato, il fuso, hanno rappresentato per millenni la quotidianità delle donne, divenendo potenti simboli ricorrenti nel folclore di moltissime culture diverse e, quindi, anche delle fiabe.
La filatura, cioè il processo per cui una fibra grezza (tipo la lana tosata) diventa un filo, è infatti un lavoro antichissimo e se ne ha traccia sin dal neolitico. Inizialmente era compiuto a mano, poi con l'aiuto di un fuso, uno strumento che ruotando sul proprio asse intrecciava le fibre. È proprio su uno di questi strumenti che, nella fiaba dei Grimm, la protagonista Rosaspina si punge (non è chiaro come, visto che non erano appuntiti, suppongo sia fairytale logic). Il grande filatoio con la ruota che vediamo nel cartone arriva in Europa solo nel basso medioevo, ma viene inventato in Asia molto prima (l'origine precisa è contesa tra l'India, la Cina e Baghdad, da quello che ho potuto trovare). Nella versione Disney, Aurora si punge con la rocca, su cui si trova la fibra grezza da filare. Nemmeno la rocca è particolarmente appuntita e a questo punto devo concludere che io e Aurora condividiamo l'invidiabile talento di farci male con qualsiasi cosa, nonché quello di cadere prive di sensi alla vista di una goccia di sangue.

Nel folclore, Rosaspina/Aurora non è l'unica ad avere a che fare con i fusi. Già nella mitologia l'atto del filare assume importanti significati simbolici: la greca Cloto è colei che crea il filo della vita di ciascun mortale, analogamente alle norne norrene, le finlandesi Päivätär e Kuutar che filano l'argento e l'oro del Sole e della Luna o la dea Inca della fertilità Mama Ocllo, che insegnò alle donne inca l'arte della filatura.
La presenza della filatura nella mitologia suggerisce quanto questo mestiere fosse centrale alla società. In effetti, si pensa che le donne filassero in ogni momento libero della giornata, per poter soddisfare il fabbisogno di filo della comunità.
Non è certo sorprendente, allora, che le filatrici compaiano spesso nelle fiabe.
Un celebre filatore delle fiabe è Tremotino. In questa fiaba dei Grimm, il mugnaio si vanta con il re di avere una figlia capace di filare la paglia in oro (perché?). Così il re la rapisce e la chiude in una stanza piena di paglia da trasformare. In soccorso della ragazza arriva uno strano ometto, che chiede in cambio del suo aiuto la collanina della ragazza. La seconda sera il re chiude la figlia del mugnaio in una stanza ancora più grande piena di paglia e ancora in suo soccorso viene il misterioso ometto, che chiede in cambio un anellino d'oro. La terza sera la scena si ripete, ma stavolta la ragazza non ha più nulla da offrire all'ometto, il quale chiede il suo primogenito. La ragazza accetta. Così il re, finalmente convinto dei poteri della mugnaia, la sposa e un anno dopo nasce un bambino. L'ometto allora reclama il pargolo, ma concede alla madre tre giorni di tempo: se riuscirà a scoprire il suo nome, le lascerà il bambino. Al terzo giorno la donna scopre che il nome misterioso è Tremotino e può tenere suo figlio.
Un altro esempio è la fiaba de Le tre filatrici, sempre dei Grimm. Una giovane donna viene sgridata dalla madre perché troppo pigra nel filare. La regina, che passa di lì per caso, la sente piangere e chiede alla madre perché la stia sgridando. A quel punto la madre, vergognandosi, risponde che il motivo è che la figlia non vuole mai staccarsi dal filatoio e lei non può permettersi abbastanza lino. Colpita da tanta diligenza, la regina porta la ragazza al castello e le mostra una stanza piena di lino e le promette che, una volta filato tutto il lino nella stanza, potrà sposare suo figlio, il principe. Rimasta sola nella stanza, la ragazza si dispera. Ma ecco che vengono in soccorso le tre filatrici: una con un lunghissimo dito, una con un labbro inferiore gigantesco e la terza con un grosso piede. Le tre donne si offrono di filare tutto il lino per lei e in cambio chiedono alla giovane di essere invitate al matrimonio e di essere presentate al principe come sue zie. Così accade, ma al matrimonio il principe è inorridito dal vedere le tre donne e si chiede come possano mai essere imparentato alla bella sposa. Le tre spiegano che il piede, il labbro e il dito sono conseguenze del loro lavoro di filatrici, al che il principe vieta categoricamente alla sua sposa di toccare un filatoio per il resto della sua vita.
Come possiamo intuire da queste storie, si trattava di un lavoro duro e tedioso e si pensa che, per intrattenersi durante le lunghe ore al filatoio o al fuso, le filatrici si raccontassero l'un l'altre delle fiabe: le filatrici non sono solo personaggi, ma le stesse voci narranti. E intravediamo in queste storie il racconto delle fatiche del loro lavoro, rielaborate con ironia e immaginazione: ecco che i piedi e le dita doloranti diventano le deformità delle tre filatrici e quale miglior lieto fine del non dover mai più lavorare nemmeno per un giorno?
Nelle fiabe non troviamo solo una testimonianza della pervasività dell'attività del filare, ma anche un'eco della voce delle filatrici stesse, delle loro fatiche, del loro fare comunità, usando il mezzo della fiaba per alleggerire le ore di fatica, ma chissà, forse anche per scambiare informazioni, per prendere in giro questo o quel personaggio della loro vita quotidiana.
La filatura, nel tempo, è stata quasi completamente automatizzata dall'industria e si tratta di un'arte quasi dimenticata. Appannaggio quasi esclusivo delle donne, per millenni è stata considerata un'attività sacra (come spiega per esempio Marija Gimbutas ne Le dee viventi durante il neolitico attività come la filatura, la tessitura, la produzione di pane si svolgevano negli stessi luoghi dedicati al culto delle dee). Per secoli è stata una delle poche attività che ha concesso alle donne di avere una indipendenza economica. La stessa parola filatrice in inglese, spinster, nel tempo è passata a indicare una donna non sposata, una zitella, una, cioè, che aveva bisogno di lavorare per sé perché non aveva un marito a mantenerla (similmente alla traiettoria della parola gossip, che è passata dal significare "amica" al pettegolezzo). Se da una parte l'automatizzazione della filatura riduce il carico di lavoro sulle donne, dall'altro le priva di una forma di sostentamento, ma anche un'occasione di socialità, e queste fiabe rappresentano una testimonianza, una piccola finestra sulla vita, le speranze, l'ironia e il lavoro di queste donne.
Per questa volta è tutto, a seguire puoi trovare fonti e approfondimenti. Luna Storta torna tra un mese, nel frattempo puoi seguirmi su Twitter e Instagram, (sono @heyclodia su entrambi i social) e leggere i miei fumetti lì.
Alla prossima Luna,
Ciao!
Fonti e letturine:
Spinning a Tale: Spinning and Weaving in Myths and Legends
Original Spin: On the History of the Spinster
SPINNING IN FAIRY TALES – THE GOOD, THE BAD, AND THE UGLY
From Spindle and Distaff to Mass Production: Spinning in Art